Di Fabio Riccio
Ma si!
Raramente in casa gastrodelirio si festeggia “La febbre del sabato sera”, vale a dire uscire di casa il sabato, appunto…
I più assidui lettori gastrodeliranti ormai sanno che salvo trasferte fuori sede, e/o particolari accadimenti, il sabato sera… per cena si prepara la classica minestrina (con il dado eh…) con tanto di farfalline sciuè sciuè…
Gastrodeliranti si’, ma non amanti della moltitudine amorfa e dei tempi lunghi che di sabato sera sono la costante di ogni locale che si rispetti.
Però… ogni tanto c’è l’eccezione alla regola: e così, eccoci con una coppia di amici a piluccare cose (buone) e bere qualcosa nell’enoteca dei nostri tre bravi “Osti di riferimento”.
La folla c’è, ma nonostante questo, i tempi del servizio (e il fragore) sono nella norma.
Per far contento bacco, da subito c’è già aperto un Pignoletto… corretto, simpatico & beverino, ma la sua presenza non lascia tracce evidenti nella memoria.
Nel frattempo, arrivano in tavola roast-beef un bis-panino con mortadella di mora romagnola (che non è una procace figliola riminese, ma una famosa razza di maiali), caciocavallo podolico “serio”, e una discreta dose di mostarda o senape che dir si voglia…
Come detto, il Pignoletto va’ via senza lasciar tracce, e così valutiamo alternative di maggior calibro.
Vai e vai… alla fine si stappa una Vitovska Slovena.
E’ del 2006, ma pur con qualche nota interessante, la povera Vitovska porta un maluccio i suoi anni.
La (sua) senescenza è avviata… magari è solo una bottiglia “scalognata”, chissà… però a onor del vero c’è da dire che la nostra “vecchietta” d’oltrecarso, arrampicandosi su piste scoscese, in qualche modo riesce a far onesta compagnia a quel che abbiamo nei piatti.
Intanto frizzi e lazzi, e il tempo vola – la mezzanotte si avvicina.
No, Cenerentola non c’entra… ma il desiderio di un “gran finale” per riconciliarci alla grande con il dio bacco, resta.
Ma ecco il dolce.
Si’: l’ormai noto Molleux – sabato in versione golosa e godibilissima… (Riccardo non cambiare ricetta, te lo scongiuro – lasciala così!).
Come affiancare il dolce? (nel frattempo arrivano anche i canonici tarallucci…).
Beh… un salto oltralpe ed ecco risolto il problema!
Domaine de la Ferme Saint-Martin Cotes du Rhone 2013
Il vino che salva la serata.
Ormai, tutte le volte che mi trovo di fronte ad una bottiglia di cui non so’ nulla, la assaggio e basta, lasciandomi trascinare dalle sensazioni “a pelle” che sono quelle che più contano per costruire il concetto di “piacevolezza” – la tecnica, se proprio serve, viene sempre dopo.
Beh… con il Les Romanins è subito amore al primo sorso.
Il tappo è perfetto – e già il colore, un bel rosso non troppo carico, mi predispone bene.
Questo Cotes du Rhone, al naso è immediatamente una festa di odori d’estate, di fieno secco, di terra un po’ umida e di tabacco Virginia, proprio quello per le sigarette da arrotolare.
Mai provato la sensazione di degustare un buon calice (di rosso), sotto un pergolato in campagna in una giornata estiva non troppo calda?
Beh… se il vino è quello giusto, vale la pena di provarla – ne vale la pena, perchè è una di quelle sensazioni “lancinanti e ancestrali”, uno di quegli irrinunciabili “mattoncini” che costruiscono la memoria gustativa di un individuo.
Ecco, questo è quello che il Les Romanins regala ai recettori delle narici – una sensazione di estate anche se è autunno, quasi quasi ci senti il vento caldo e le cicale frinire dentro il calice…
Ma appurato (non da oggi…) che non sono come quei sommelier astemi (e dire che c’è chi si vanta di questo… mah…) che il vino si limitano a sniffarlo, o nel migliore dei casi poi a sputarlo, io lo provo con tutta la dovuta reverenza sul mio palato.
Ed ecco che inizia un altra festa.
Il corpo c’è, i tannini sono in giusta misura, così come l’alcool e da subito c’è tanta frutta rossa, ma anche una sensazione (al palato dico!) di pepe, credo bianco, e di confettura di ciliegie, ma di quelle senza il dolce fuori misura da supermercato.
Ogni piccolo sorso è un giubilo di sensazioni, una epifania per i sensi che, finalmente sono gratificati da un vino che scuote e si incide nella memoria gustativa per la sua piacevolezza.
Anche il nostro dolce (il Molleux) con il Les Romanins non fa’ a pugni, anzi.
I due, sembrano andare sottobraccio fin dal primo morso, così come i tarallucci dolci che provo anche ad inzuppare nel vino, con sorprendenti risultati dal punto gustativo.
Il Les Romanins “a istinto” per me è uno di quei vini che danno il massimo se bevuti giovani – magari qualcuno mi smentirà su questo.
L’evoluzione finale c’è, ma senza troppi stravolgimenti, con la sola comparsa di un indizio di vaniglia, cosa che aiuta a rendere compiuto il matrimonio con i dolci…
Un vino che regala piccole e non effimere emozioni – un vino che non cerca facili scorciatoie per piacere, un vino che dona emozioni facili da cogliere anche per chi non è esperto o avvezzo al nettare di bacco… un vino davvero gastrodelirante!
Ora però è il momento di spendere qualche parola sul produttore.
Il Domaine la Ferme Saint Martin di Earl Guy JULLIEN , si trova nel paesino di Suzette, di ben 121 abitanti (fonte Wikipedia) nel dipartimento della Vaucluse della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra.
In vigna non si usano assolutamente pesticidi o fertilizzanti chimici, e l’azienda è certificata per i dettami dell’agricoltura biologica (certificato da Qualité France SA – ben più stringente di quelli nostrani).
Lo stesso in cantina, dove filtrazioni, sostanze aggiunte, e altre alchimie semplicemente non esistono. Solo risibili quantità di solfiti quando i vini vanno in bottiglia, e di solito si imbottiglia nella primavera successiva all’anno di vinificazione.
Il concetto di “terroir” a Suzette e dintorni è preso molto ma molto sul serio…
A seconda delle annate si producono 100.000 bottiglie (di varie tipologie di vino) da viti nella gran parte abbastanza giovani.
Il Domaine la Ferme Saint Martin è sui 400 metri sul livello del mare, ben esposto a sud, e dei 36 ettari della proprietà, 23 sono vigneto. Macchia mediterranea e boschi il resto.
Il nostro Domaine de la Ferme Saint-Martin Cotes du Rhone 2013 è un riuscito blend di Grenache, Syrah, Cinsault e Mourvedre in proporzioni variabili, anche se in normalmente Grenache e Syrah sono i dominanti.
Altre parole su questo vino sono superflue. Non resta che assaggiarlo, ma sempre senza i paraocchi dei luoghi comuni, e sempre con il cuore aperto. Prosit!
http://www.fermesaintmartin.com/
http://www.fermesaintmartin.com/blog/
Earl Guy JULLIEN
84190 SUZETTE – France
Tel. +33 4 90629640
A puro titolo di curiosità è bene sapere che la classificazione della AOC Cotes du Rhone è faccenda piuttosto articolata. Oltre a quelli prima elencati, sono ammessi (anche) una lunga serie di altri vitigni, e tra questi in prima fila ci sono quelli che vengono chiamati i “quattro C“: Carignan, Cinsaut, Clairette e Counoise. E poi altri…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?