Di Riccardo Ferrante
L’Etna non la capisci se non ci vai, non è solo una montagna con un vulcano, che prima di arrivarci te la immagini finita, delimitata, dove puoi vederla da una unica prospettiva. Niente di tutto questo, è infinita, magica, grigia, rossa e disarmante, tutto è irreale, perché tutto fuori dalla nostra immaginazione.
Questa è l’Etna del versante Sud, pietra lavica, poco verde e una strada che ti porta fino 3300 metri dal mare, vedi pure Catania dal bordo della strada. Alle tue spalle solo corriere, turisti da tutto il mondo vestiti da decathlon, chalet di montagna stile Cortina anni ’80, souvenir che ti ammazzi dalle risate e bar che propongono una gastronomia del peggior incubo.
Ma tutto questo ti scivola addosso, hai lo stomaco contratto e il respiro corto e troppo ossigeno nel cervello. Questa è una parte dell’Etna, quella che non produce vino e io ci sono passato per farmi una cultura. Ti fai una cinquantina di chilometri in direzione Linguaglossa, poi nella Frazione Passopisciaro versante Nord-Est e si cambia completamente paesaggio. Verde da giungla mescolato al grigio della pietra, terrazzamenti ancestrali con viti ad alberello che sono giardini zen. Il punto di riferimento è Linguaglossa, una città nera incendiata dal sole. Dobbiamo fare ancora qualche chilometro per raggiungere Passopisciaro, la chiesa di Passopisciaro e arrivare a Solicchiata. Di fronte c’è l’ingresso della cantina di Frank Cornelissen dove abbiamo appuntamento.
I vini di Cornelissen per me sono vini magnifici, per gran parte del mondo dei degustatori vini diciamo non magnifici. Oggi forse si sbilanciano nel giudicarli interessanti, perché schiacciati dalla moda del naturale e quindi portati a mentire, e tutto il mondo viene a Passopisciaro per conoscere Frank Cornelissen e la sua piccola cantina e la sua storia, il suo personale modo di interpretare la natura.
E’ arrivato qui dal Belgio nel 2000 in pieno inverno e ha deciso di viverci e produrre il suo vino, dopo alcune ricerche di terre tra il Portogallo e la Spagna. Lui dice che è venuto sull’Etna non in Sicilia, ebbene ha ragione. Ha cominciato con 1000 bottiglie, oggi circa 50.000.
In silenzio si è fatto strada nel mondo dei vini di nicchia, in grandissima parte oggi venduti fuori dall’Italia, dove il pregiudizio enologico è poco praticato, e la curiosità è tanta.
Prima di diventare vignaiolo era broker di bottiglie pregiate in giro per il mondo, poi ha deciso di produrre il suo vino e in pochi anni è diventato il produttore più originale di questa zona.
Ha vari appezzamenti di vigne tra Randazzo e Linguaglossa, le uve principali sono per i rossi Nerello Mascalese e Cappuccio, e per i bianchi Carricante, Minnella, Coda di Volpe Chardonnay.
La cantina è spartana, c’è sempre una temperatura di 15 gradi e si discosta da tutte quelle che ho visto sino ad ora. Non ci sono barriques, non ci sono vasche di cemento ma solo qualche anfora e vasche di vetroresina. Non ama contenitori che lasciano impronte aromatiche, le fermentazioni avvengono in numerosi mastelli da 1.500 litri, tutte micro fermentazioni quindi con follature a mano e vendemmie che possono durare due mesi, un lavoro lungo, faticoso e appassionato.
E’ solo l’uva e il territorio che parlano, escono fuori vini personalissimi, dove il metodo di chi trasforma l’uva non deve prevaricare, è un compito difficile dove il rapporto uomo-territorio è sempre labile e una forza non deve prevalere sull’altra.
Bevo questi vini saltuariamente dal 2007, non li conosco benissimo ma ho una idea generale del percorso di questo vignaiolo che oggi sicuramente fa vini più precisi e meno estremi, ma sempre affascinanti. Del vino questo mi piace, assaggiare e prendere la scossa e i vini di Frank Cornelissen provocano questi effetti.
Abbiamo assaggiato 4 vini in cantina.
Il Contadino, un blend di varie uve tra cui anche le bianche che fa fermentare insieme, annata 2013 da questa vendemmia userà come dice solo uve rosse. Un vino di grande bevibilità, speziato, acido e salato. Un vino per fare la conoscenza di questa cantina.
Munjebel bianco 2012. Jebel significa montagna in arabo, uve carricante, coda di volpe e altre varietà che nemmeno i contadini del luogo conoscono. Finocchietto selvatico, erbe aromatiche, sono profumi che senti nell’aria di questa terra. Palato piccante, da scossa elettrica.
Munjebel rosso 2012. Rosso da uve nerello mascalese e cappuccio, vigne vecchie affinamento più lungo. Sulfureo, sapido.
Susucaru versione Magnum 2013, rosato ultimo nato nella produzione di casa, è un rosato dal colore più cupo, bel tenore alcolico, piccante al palato, vino da sete, niente più.
Questo è l’Etna, una delle tante storie di questa splendida montagna.
Riccardo Ferrante