Di Fabio Riccio
Serata in enoteca, caos da sabato sera.
Come vicino di tavolo un simpatico cane (con padroni) che colpisce subito per simpatia e l’educazione più di tanti bipedi umani. Chissà se il bravo quattrozampe è astemio…
Scegliere il cibo alla fine è facile, in enoteca la carta ruota quel tanto che basta per avere a disposizione sapori diversi, ma tutti di qualità e dagli accostamenti spesso indovinati. Però, in enoteca io vado principalmente per bere.
Con l’occhio e gli occhialini di rito, per un po’ ciondolo pigro tra le tante e allettanti etichette che ammiccano dagli scaffali. La scelta del vino è sempre affare complicato, e in due, è d’obbligo mediare.
Dopo qualche tentativo a vuoto di aprire un po’ di bottiglie “estreme” (Georgiani e siculi supermacerati, vitigni dal Carso ipersalini e altri non proprio convenzionali) arriva il buon Gianfrancoche brandisce una bottiglia: San Fereolo Dolcetto di Dogliani 2004. Ma si’, vada per il Dolcetto, aggiudicato!
Era un bel po’ che non bevevo dolcetto di qualsiasi denominazione.
Dogliani (come paese) è noto prima di tutto per essere il paese di Luigi Einaudi, celebre economista e primo presidente eletto della neonata Repubblica Italiana, ricordato come persona di irreprensibile sobrietà, ma anche come produttore e grande appassionato di vino, in tempi non sospetti.
Per essere un dolcetto 2004 all’apertura regala agli occhi un gran colore rubino che vira al violetto anche svinando i calici. In bocca, dopo una fugace nota alcolica di troppo, è di un fruttato intrigante, con in più un complesso fondo di cuoio di fresco conciato.
A dispetto di questo inizio di “peso”, il San Fereolo Dolcetto di Dogliani 2004 è di un fresco da manuale, con tante more e ribes sparse nella mai sfacciata acidità. In bocca è da subito pienissimo, ma anche equilibrato con un finale armonioso e lungo, nonostante i 14,5° di alcol. Evolvendosi in calice, l’acidità si stempera, per lasciare più spazio alla frutta rossa e a qualche sobria nota amara di caffè e asfalto caldo.
Il Dolcetto sconta la fama di essere ottimo se bevuto giovane, però e dopo parecchi assaggi, non la penso affatto così.
Il Dolcetto è un vino importante che può invecchiare parecchi anni senza problemi, anzi. Questa bottiglia del 2004, ha combattuto ad armi pari con spalla cotta e mortadella, ma anche con formaggi robusti e stagionati, e infine ha quasi cancellato delbuon foie gras accompagnato da confettura. Un dolcetto Vinoso, nel senso campestre oserei dire… come sinonimo di piacevole, ma complessa beva.
Il San Fereolo è vino che non grida e non ammicca. Non è da non proporre in occasioni enofighettistiche da “compagni (firmati) co’ i piccioli”, ma è da bere in leggerezza, magari insieme a persone che hanno una visione del mondo non omologata e, che non guardano l’orologio a cena, perché anche dopo hanno sempre qualcosa di (troppo) importante da fare…
Un vino, fatto prima di tutto per piacere a chi lo ha fatto…
Il San Fereolo Dolcetto di Dogliani 2004, fin dal primo sorso, mi ha fatto tornare in mente come una sorta di “Madeleine enologica” la memoria e le sensazioni di certi vini anni ‘70 che vorrei ancora trovare, e che piacevano tanto anche al Mario Soldati di Vino al vino.
Cito Soldati – Dipende, soprattutto, dai ricordi che ciascuno chiude in se stesso, ricordi che giacciono indelebili nel suo sistema nervoso e di cui molte volte non ha nemmeno coscienza. Dipende, infine, dalle volte precedenti in cui ha gustato lo stesso vino (ma c’è, mai, davvero, “uno stesso” vino?) o un vino simile. Un vino bevuto, anche parecchi anni prima, in un momento in cui si era particolarmente felici, per esempio innamorati e vicini alla persona amata, parrà sublime anche se è tutto il contrario: per distinguere, bisognerebbe non avere vissuto“.
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Ben conosco i vini della brava signora Bocca.
In mia opinione, delle otto denominazioni del dolcetto, quello di Dogliani è quella che io trovo (in generale) più affascinante e godibile.
Interpretare a fondo il dolcetto non è facile – in giro sotto questa denominazione ci sono tante oribili misture di chissà cosa… ma, devo dare alla signora Bocca di fare davvero un buon vino, anche perchè se ne frega bellamente di tendenze e dei tanti fighetti in divisa & tastevin che vedo in circolazione, che in tanti, troppi casi non capiscono proprio nulla di vino.
Devo anche fare i miei complimenti a Fabio Riccio per la bella e “aderente” citazione del dimenticato Mario Soldati – chissà quanti di quei petulanti sommelier non sanno neanche dell’esistenza di questo testo fondamentale che è Vino al Vino…
Prosit… e complimenti per il lavoro del sito da Pordenone.
Ottima citazione…
Grande libro ”Vino al vino”.
Fondamentale ma spesso ignorato dagli appassionati..
Proprio ora sto leggendo il bel capitolo sul Gragnano di Lèttere…
A presto in enoteca,
Stefano