Di Serena Manzoni
Ogni tanto vado a trovare un paese, come consiglia Franco Arminio il poeta paesologo, vado a vedere come sta, vado ad ascoltare il suo rumore. Cammino per le strade strette, fotografo quasi sempre finestre e porte, spesso chiuse e qualche volta invece aperte. Quando sono aperte trovo spesso i panni stesi e fotografo anche quelli, o i fiori in vasi improvvisati e fantasiosi a creare bellissimi giardini inconsapevoli del loro splendore. Quando sono chiuse fotografo le forme degli infissi, fotografo le porte chiuse magari per sempre prima di un viaggio per placare la fame e magari trovare fortuna. A volte finestre e porte murate, a volte le macerie intraviste da vetri rotte in case mai più aperte violate dall’abbandono o da qualche terremoto. Difficilmente fotografo le persone, spesso anziane e qualche volta invece più giovani o bambini. Mi piacciono le sedie messe fuori la porta, mi fanno sorridere le bottiglie piene per tenere lontani i gatti e i loro odori. Nei paesi bisogna andare e poi bisogna ritornare, cambia il nostro umore e cambia a volte anche quello del paese.
Larino ha circa 7000 abitanti e si fa chiamare città, ma per me è il paese dei vicoli, dei portoni aperti e chiusi di case e palazzi, della cattedrale e dei gatti, del camminare umido su pietre lisce e chiare. Non se ne abbiano a male i Larinesi, ma quando vado a trovare Larino vado a trovare il paese vecchio. La parte nuova sta in alto, dove rimane testimonianza dell’insediamento romano, poi si scende e si supera la stazione per arrivare infine nella zona medievale accolta da un monumento all’emigrante, un omino con la valigia in mano che saluta e parte. Negli ultimi tempi si ha la sensazione che questo sia un posto dove si cominci a tornare, sarà per la presenza della città nuova, sarà perché non siamo lontani da Termoli e dalle più importanti strade di comunicazione. In estate, la sera, il borgo è allegramente invaso da gente per il passeggio e non mancano le vetrine di qualche negozio qui e là.
Non credo che i centri storici e i paesi in genere debbano diventare luoghi unicamente votati al divertimento e al turismo, ma vorrei fossero luoghi in cui si vive, si lavora e si ama. In questo senso vorrei parlarvi dell’Osteria del borgo, piccolo ristorante gestito da Assunta e Domenico, due giovani osti che hanno deciso di lavorare e vivere a Larino vecchia, con passione, impegno e partecipazione.
Adesso, quando vado a trovare Larino vecchia, vado anche a trovare l’osteria. È bello avere un posto dove andare prima e dopo il perdersi e trovarsi della passeggiata. Sembra che ogni volta migliori un po’, attento nella cucina al territorio e alla stagionalità dei piatti. Torcinelli, pallotte cace e ove, ortaggi e verdure a chilometro zero, polenta e legumi presenti insieme ai cereali nella pezzente (si tratta di una zuppa), cavatelli, ravioli con la borraggine e carne locale in arrosto e non. Anche se c’è ancora molta strada da fare, si ha la sensazione che si stia prendendo la mira per raggiungere il bersaglio che via via si sta facendo più chiaro e limpido.
Serena Manzoni
Sono figlio di una molisana (di Larino appunto), emigrata e residente in toscana in provincia di Firenze da moltissimi anni.
Ho letto il bell’articolo della signora Manzoni e devo dire che ha centrato in pieno le atmosfere e le sensazioni (anch olfattive) che provo ogni volta che capito a Larino “vecchia” (purtroppo negli ultimi anni sempre più di rado) a visitare i pochi parenti rimasti.
Riguardo al ristorante, questa estate ho visto “questa novità”, nel senso che un ristorante vero (non bar, pizzerie etc etc) nel centro storico mancava. Mi riprometto nella mia prossima “discesa” a Larino di mangiarci…