Daniele Ricci: il naturale che non ha bisogno del megafono

– Dal Vinitaly 2025, tra marketing, tanti lustrini e vino vero –

Non so nemmeno più da quanto tempo non partecipavo a Vinitaly.

Per anni mi ero ripromesso di starne fuori, o almeno di saltare l’edizione successiva, e poi puntualmente mi ritrovavo tra quei padiglioni sempre più rumorosi, levigati, invasi da troppi vini figli di un’estetica patinata che con il vino vero ha a che fare quanto un profumo da boutique con l’odore di mosto appena pigiato.

Poi, ho detto basta davvero.

Eppure, ci sono tornato. Tornato perché qualcosa, ogni tanto, ancora succede. E perché in mezzo a tante presunte “esperienze immersive”, e panel inutili di vini vestiti molto più elegantemente di chi li beve, c’è sempre, magari quasi nascosto, qualche produttore che vale il viaggio.

E quest’anno quel produttore, per me, è stato Daniele Ricci

Non lo cercavo. Non avevo nemmeno in programma di passare da lui. Ma ci sono inciampato – letteralmente – in un pezzo di padiglione che sembrava fuori dal tempo.

Una specie di intercapedine sospesa tra due mondi: da una parte il Vinitaly delle luci, dei badge luccicanti, degli stand pieni di design e di parole vuote; dall’altra un piccolo spazio ruvido, basilare, quasi timido, dove non c’era nulla da fotografare ma tutto da ascoltare.

daniele ricci

E lì, seduto tranquillo come se fosse nel cortile di casa sua e non nel più grande palcoscenico del vino italiano, c’era Daniele Ricci.

Qualche bottiglia sul tavolo, qualche sedia “da battaglia”, e un sorriso che arriva solo se glielo tiri fuori con gentilezza.

Mi sono seduto senza sapere bene cosa aspettarmi, ma nel giro di pochi secondi ho capito che non avevo bisogno di aspettarmi nulla: ero proprio nel posto giusto, semplicemente.

Perché lì non si stappa per vendere, non si stappa per colpire o per acchiappare like. Si stappa per raccontare. O meglio ancora, per lasciare che il vino parli da sé.

daniele ricci

Daniele Ricci non è uno che ti fa lezioncine. Non ha il tono ieratico del vignaiolo mistico, né l’aria strafottente del rivoluzionario da salotto.

Non invoca i pianeti, non millanta energie sottili né fermentazioni cosmiche da tanto al chilo.

Lui lavora. Con la terra, con le mani, con la testa, e – si percepisce subito – anche con una certa dose di cuore incazzoso, ma al punto giusto.

E forse è proprio per questo che i suoi Timorasso mi hanno preso a schiaffi e abbracciato nello stesso sorso.

Vini che non chiedono il permesso di piacere.

Bianchi indomiti, verticali, pieni di spigoli e profondità, che non si offrono ma si conquistano.

E… se sei uno di quelli che cerca solo quei Sauvignon ghiacciati da aperitivo, e per caso passando lì dici che i suoi Timorasso non ti piacciono, potresti anche essere accompagnato gentilmente all’uscita.

Ma se ti prendi il tempo, e se hai ancora voglia di assaggiare con la testa oltre che con la lingua, allora quel che ti ritroverai nel calice è un viaggio.

Un percorso che non consola, ma apre. E che, cosa rara, non perde mai di coerenza, nemmeno quando cambia pelle.

Poi ci sono le macerazioni. E lì, lo ammetto, ero diffidente.

Perché il mondo degli orange wine è ormai diventato il parco giochi preferito da chi forse sa come usare i termini giusti per descrivere il tutto come “novità”, ma in realtà non distingue un tè freddo da un bianco con struttura.

Ma quelli di Daniele sono tutt’altra cosa. Sono vini che rischiano.

I vini di chi sceglie di non filtrare senza nascondersi dietro all’alibi dell’approssimazione.

Il CCC, in particolare, mi ha fatto tremare

daniele ricci

Un ossidativo che non vuole piacere ma finisce per stregarti, davvero.

In bocca è fresco, con una leggera nota tannica che non ti aspetti, e con una profondità che spiazza. Uno di quei vini che non solo ti piacerebbe bere tutte le sere dopo cena, ma che vorresti raccontare in sedicesimi agli amici, con un misto di entusiasmo e pudore.

Perché certi vini sono come certe persone: più sono vere, e meno lo ostentano.

E Daniele è così. Non ostenta.

E quando gli ho chiesto perché non scrive “vino naturale” in etichetta, mi ha guardato con quell’aria da uno che ci è già passato, mille volte, da quella domanda, o come un turista che a Tunisi ha appena chiesto dove trovare polenta e osei…

Mi risponde con una frase semplice: “È come andare in giro dicendo che sei una brava persona. Se lo sei, non c’è bisogno di dirlo. E se lo dici, forse tanto bravo non lo sei.”

Ho riso. Lui no. Ma aveva ragione.

Quella frase mi si è appiccicata addosso come un francobollo per tutto il resto della giornata, mentre mi spostavo da uno stand all’altro, circondato da troppe parole uguali e da vini lucidati a specchio.

E più passava il tempo, più mi rendevo conto che quello che avevo bevuto da Daniele non era solo buono: era vero.

Vero nel senso più semplice e più difficile del termine. Vini che non ti blandiscono, che non ti manipolano, che non si mettono in posa.

Vini che si mettono a nudo. E che ti chiedono di fare lo stesso.

Alla fine, quando i padiglioni si svuotano, quando le ultime bollicine fanno finta di brindare a qualcosa e i carrelli iniziano a trascinare rumorosamente casse e tante illusioni, torno da lui.

Sta ancora lì, con lo stesso sorriso appena accennato e lo stesso sguardo che non cerca nulla ma accoglie tutto.

Difficile che nel corso della giornata abbia attirato le passerelle dei soliti noti. Ma io so – lo so con certezza – che ha fatto innamorare chi davvero conta…

Il suo banco, manco a dirlo, non è stato preso d’assalto dai badge dorati e dai food blogger vassalli del prosecco, primariamente in cerca di selfie. Mentre è stato meta programmata, questo sì, di tutti quelli che i suoi vini li amano da sempre.

Perché persino a Vinitaly, di tanto in tanto, arrivano i giusti

Daniele ricci

Importatori veri, enotecari con l’anima, quelli che scelgono i vini come si scelgono le persone.

E poi ci sono io.

Che ancora, testardamente, bevo con naso palato e cuore, e poi con la tecnica.

Che ancora, ostinatamente cerco vini che mi parlino davvero di qualcosa, magari in dialetto.

E per me, oggi, bastava questo.

Daniele Ricci resta uno di quelli che fanno vino senza fare rumore.

Un grande artigiano del silenzio, che lascia parlare le bottiglie al posto suo.

E quelle bottiglie, dannazione, parlano meglio di tanti esperti da palcoscenico…


Azienda Carlo Daniele Ricci

Via Montale Celli, 9

Costa Vescovado (AL)

Tel. 335 8296312

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