Il vino è molto più di una semplice bevanda: è un ponte tra terra, cultura e persone. Tuttavia, ciò che mi affascina maggiormente non è tanto il nettare in sé, quanto le storie e le vite di coloro che lo producono.
Ho intrecciato amicizie profonde alla ricerca di vini, invitando produttori alla mia tavola per condividere pensieri, esperienze e bottiglie. Mi piace ascoltare racconti di territori, lavoro e poesia, mentre sorseggio ciò che quelle storie rappresentano in forma liquida.
Recentemente, nella mia casa siciliana ai piedi dell’Etna, ho avuto il piacere di ospitare un giovane vigneron della provincia di Enna. Il suo nome è Nicolò Grippaldi.
L’avevo scoperto attraverso una bottiglia di Nerello Mascalese che mi aveva incuriosito, non solo per il vino, ma anche per il percorso di vita che lo aveva portato a produrlo. Nicolò, infatti, è laureato in filosofia a Firenze e si è avvicinato al mondo del vino grazie a un’esperienza folgorante nel Chianti, al Castello dei Rampolla.
Terminati gli studi, è tornato al suo paese natale, Gagliano Castelferrato, e ha deciso di dedicarsi alla viticoltura.
C’è qualcosa di straordinario nelle persone che arrivano a una professione attraverso strade inaspettate, soprattutto quando provengono dalla filosofia.
La capacità di pensare in modo libero e creativo può aprire nuovi orizzonti, offrendo prospettive inedite e sorprendenti. Questo è ciò che Nicolò incarna nel suo lavoro.
Nicolò è un produttore solitario, e non solo per scelta. La provincia di Enna non è una zona vinicola per tradizione, e il suo lavoro è una sfida quotidiana affrontata in completa autonomia: dalla cura dei vigneti alla vinificazione, fino alla commercializzazione.
Con soli tre ettari di vigneto coltivati a Nerello Mascalese e Nero d’Avola, Nicolò Grippaldi lavora con dedizione e fatica, dimostrando che, anche da solo, è possibile creare qualcosa di unico.
La sua non è una scelta dettata dall’ossessione, ma da una visione profondamente personale del vino. Per Nicolò, fare vino è come scrivere: ogni grappolo è scelto con la stessa cura con cui si selezionano le parole; ogni fermentazione è monitorata come si rileggono i capitoli di un libro. La bottiglia finale è la stampa di un pensiero, il risultato di un lavoro intimo e creativo.
Durante la nostra conversazione, abbiamo assaggiato il suo Dei Pinti 2018 in formato magnum, un blend di 80% Nero d’Avola e 20% Nerello Mascalese.
Mai un Nero d’Avola mi era parso così elegante, complice una splendida acidità che rende il sorso leggero e avvolgente. Nicolò mi ha raccontato che l’aggiunta del Nerello è stata quasi un caso, un modo per colmare il tino. Eppure, proprio in questo gesto apparentemente fortuito si riflette il cuore del suo approccio al vino.
Per Nicolò, il vino nasce dall’intuizione. Seguendo il filosofo Henri Bergson, l’intuizione non è un’analisi razionale, ma una “simpatia” con l’essenza delle cose, un sentirle dall’interno. Nel caso del Dei Pinti, il gesto di aggiungere il Nerello è stato il momento in cui il vino ha trovato la sua vera identità, diventando espressione autentica del pensiero e del lavoro di Nicolò.
Il percorso di Nicolò è una filosofia del sì, un’apertura al possibile. Ogni sua scelta rappresenta un’affermazione della natura, un modo di accogliere il presente e guardare al futuro con fiducia.
Il suo lavoro, pur solitario, non è mai isolato: dialoga con il territorio, con il tempo e con chi ha il privilegio di assaggiare i suoi vini.
Nicolò Grippaldi non è solo un produttore di vino; è un poeta, un filosofo, un romantico in vigna. E ogni bottiglia che crea è una storia da bere e da vivere.
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Paolo Francesco Mandelli, classe 1969, (pessima annata ) architetto e gastronomo, si occupa dei due bisogni primari dell’uomo: casa e cibo.
Trovo che la solitudine non possa esistere nell’animo di colui che di natura vive
Al massimo, se proprio dobbiamo, possiamo definirlo un delicato protoesilio consenziente
Questo vino é coraggio di stare in vigna , é la forza che ti porta a dire quasi “no”alla cantina , nel termine più metaforico possibile
Questi poeti di terra e sangue sarebbero da insignire del titolo di patrimonio dell’umanità
Il Ligure