Nel variegato panorama dei biscotti italiano esistono alcuni “paria”.
Biscotti che nessun italiano per nulla al mondo oserebbe elencare tra i suoi preferiti.
Uno di questi, è il biscotto all’amarena napoletano
Certo… mai come il più sventurato e bistrattato dei biscotti al mondo, il frollino a S ben descritto nella sua cosmica solitudine (nei vassoi) dal nostro bravo Stefano Capone.
Partenopenamente e tecnicamente parlando, il biscotto all’amarena rientra in due categorie: i chiuditivi (antitesi degli aperitivi) concetto magistralmente postulato da Luciano De Crescenzo, e le preparazioni di recupero.
Chiuditivo… perché un singolo biscotto mediamente pesa sui 200 e più grammi (!) e tra zuccheri e altro, siamo di fronte a una vera e propria bomba calorica che da sola tacita l’appetito!
Di… recupero perché il vero biscotto all’amarena napoletano è un dolce “popolare” che nasce dal riciclaggio e assemblaggio di altri dolci invenduti, negli ultimi anni affiancati anche da panettoni, pandori e colombe.
Il tutto ri-lavorato con cacao, confettura e sciroppo di amarene per il ripieno, anche se a volte lo sciroppo è in dosi omeopatiche.
Sicuramente buono, ma il pedigree non è dei più nobili…
Il biscotto all’amarena napoletano esteriormente è di forma allungata, dieci centimetri di lunghezza e, nonostante la superficie ricoperta di glassa o di listelli di marmellata e zucchero a velo, di secco ha solo l’apparenza, perchè non lo è affatto.
Friabile e croccante (vista la pasta frolla) all’esterno, ha un bel cuore morbido e suadente grazie anche al grasso e all’avvolgenza del cacao che, integra e stempera il sapore dolce e acuminato dell’amarena.
Una costruzione del gusto sommato semplice e lineare, di certo efficace, ma non paragonabile ad altri dolci più complessi (e affascinanti) della scuola pasticcera partenopea.
A Napoli e in buona parte della Campania lo si trova con relativa facilità. Non manca quasi mai nelle vetrine di bar, panifici e pasticcerie, un po’ meno nella grande distribuzione…
Però, nonostante la sua buona diffusione, questo “travet” della pasticceria partenopea continua a trascinarsi dietro una immeritata aura di modestia.
Forse perché esteticamente non è il massimo?
Magari per il gusto poco articolato rispetto ad altri dolci più “nobili e titolati”?
Forse perché vista la sua origine “di recupero” qualcuno penserà… “che diavolo ci mettono dentro”?
Oppure, semplicemente… volete mettere il gusto di chiedere in pasticceria un vassoio di sfogliatelle (per me ricce, grazie!) rispetto a un vassoio di biscotti all’amarena?
La casta è casta e va rispettata…
Comunque, se passate per Napoli assaggiatelo, è parte integrante della tradizione più di altri dolci titolati, e vi assicuro che è più che buono.
In ogni caso, niente ricette, perché qui su www.gastrodelirio.it per precisa scelta non le pubblichiamo, e poi perché di ricette, incluse quelle dei biscotti all’amarena napoletani ne trovate a centinaia sul web!
Oltretutto, del biscotto all’amarena napoletano non c’è una ricetta unica e “originale”, perché come per tutte le preparazioni di recupero, le varianti sono infinite e ognuno si sbizzarrisce come meglio crede…
Piccolo aneddoto personale…
Per la cronaca, il mio primo assaggio di questo biscottone è stato il giorno della prima comunione, a Napoli nel lontano 21 giugno 1970.
Non so se è tutt’ora in uso, ma a cerimonia finita visto il preventivo e obbligatorio digiuno prescritto dalle circostanze, nel retrobottega della chiesa (oops, sagrestia!) a tutti i neocomunicati veniva offerta una piccola merenda.
In maggior parte cornetti (croissant, brioches), ma sui vassoi vi erano anche (in questo caso tre di numero!) questi biscotti che, chissà perché, all’epoca non avevo ancora assaggiato.
Tutti i neocomunicati lesti si fiondarono sui cornetti incuranti degli strepiti del parroco sul formare una ordinata fila, e così… al sottoscritto che già allora poco confidava nella giustezza degli esseri umani, restarono solo i biscotti, dagli altri evidentemente (già…) poco considerati. Sic!
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?