Di Marco Nanni
Fuori da un bar qualsiasi in un giorno qualsiasi.
Sei vicino alla tua moto, rossa brillante, aspettando gli amici. Dopo decine di messaggi non è chiaro chi ci sarà per il giro di oggi.
L’importante è andare in moto.
Dal bar escono dei signori anzianotti.
Guardano la moto, il più intraprendente attacca bottone. Esordisce con “che bella!”, e già glielo leggi in faccia quale sarà la prossima domanda: “quanto fa?”
Non importa quale numero dici, sarà sempre velocissima! Anche questa volta ti hanno fregato, sorridi rassegnato e rispondi.
“Guidare una motocicletta non ha niente a che fare con la velocità. È un’esperienza intensissima di libertà psichica e fisica” diceva John Berger, e proprio per questo dà fastidio il bisogno comune di quantificare le cose, dare un numero, per poter dire che questo è meglio di quello basandosi su un parametro che a volte è sbagliato.
Arrivano gli amici, si parte!
C’è quello che va troppo veloce, quello che si perde di continuo e tu che cerchi di goderti la strada e il panorama intorno e che non disprezzi una sosta per una foto da social.
Dopo qualche km, il dramma del pranzo!
Si va dal “cerchiamo su internet, voto 4.5 con mille recensioni” al “ragà io ho solo 10€, panino e birra dallo zozzone, e devo anche mettere benzina”.
Questa volta no!
Hai i soldi in tasca, sei in un posto famoso per quella specialità, quel vino che ti fa impazzire, non ci stai a mangiare sul ciglio della strada quel secco panino con la salamella del discount cosparsa di salse riscaldate al sole!
Vuoi anticipare per l’amico squattrinato, chiedi in giro ma non trovi soluzione.
Alla fine si fa tardi, sfiancato dalla discussione entri nell’unico ristorante che è ancora aperto.
Trovi un buio opprimente, chiedi il tavolo vista parcheggio brecciato in veranda. La cucina sta chiudendo.
“Prendiamo tutti la stessa cosa che si fa prima”.
Accecato dalla fame, ordineresti avanzi e acqua di fonte.
Per mettere tutti (o quasi) d’accordo si scelgono penne al ragù, due acque e un litro di vino da dividere in 10.
“Ragù finito, pomodoro semplice” dicono dalla cucina. Pensi che le cose più semplici sono le più buone.
L’amico squattrinato invita a prendere un tagliere per stuzzicare, è un plebiscito di stomaci brontolanti.
Mentre si versa questo rosso dalle sembianze chimiche, entra in scena il sommelier di turno, il suo vicino lo deride e versa dell’acqua frizzante nel suo calice. Inizi a fantasticare sul panino del chiosco ambulante.
Un tagliere e sei cestini di pane dopo, arriva la pasta: troppo al dente, il sugo è acido.
Sai che quella penna rigata ti rimarrà sullo stomaco tutto il pomeriggio e spinta dal serbatoio di bucherà il diaframma.
Arriva il conto e il “quanto fa?” riecheggia nella tavola.
Paghi anche per lo squattrinato, erano i patti. Promette di rimborsarti ma non accadrà mai.
E sai che te lo meriti, avevano ragione lui e il suo panino.
Si paga, troppo, ci si lamenta mentre si riparte.
Sosta allo stesso bar del mattino per i saluti.
Eccolo, il signore anziano, che ti guarda mentre stai per infilarti il casco. “Bella giornata oggi per la moto, eh? Faceva caldo!”
E prima che indossare il casco possa inibire il tuo udito, arriva: “quanto fa?”