Partiamo da due assunti.
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Primo la cucina non è scienza esatta.
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Secondo la lasagna napoletana è tra i piatti più sontuosi della cucina all’ombra del Vesuvio.
Si preparava (e tutt’ora si prepara…) per carnevale.
Un saporito modo di suggellare per simboli il periodo di prosperità che precede quello di digiuno e di penitenza, proprio della quaresima.
Però, come tanti piatti “rituali”, pian pianino è diventata un piatto buono per tutto l’anno.
Solo apparentemente tributaria delle classiche (anch’esse sontuose) lasagne emiliano-romagnole, la lasagna napoletana ostenta un pedigree diverso.
Così diverso che meno di due secoli sono bastati per trasformarla in qualcosa di concettualmente e sensorialmente molto diverso da quel che era in origine.
Insomma, forse per alcuni sarà un’eresia, ma le attuali lasagne napoletane hanno poco da spartire con quelle di due secoli addietro.
Un mito che va in frantumi?
Le prove
I buongustai napoletani sobbalzeranno, e dall’aldilà anche mia nonna paterna, nata a Via Bologna al Vasto, orgogliosa delle sue lasagne.
La “pistola fumante”, che mostra la vera e propria piroetta gustativa di questo piatto è un antico ricettario, fondamentale per chi vuole capire le radici, la storia e l’evoluzione della cucina partenopea, e di tutto il meridione d’Italia.
La Cucina teorico-pratico (Napoli-1837) di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino.
Decisamente minuzioso, il Cavalcanti (cognome e origini importanti!) suddivide la sua preziosa opera in più sezioni.
La “cucina del popolo”, sezione interamente scritta in dialetto, è quella che più ci interessa, perché proprio al n° 366, c’è la ricetta di quella che era la lasagna napoletana dell’epoca, con spiegazioni e dettagli, incluso l’indirizzo del maccaronaro di fiducia del Cavalcanti!
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E’ la prima lasagna (napoletana) messa nero su bianco con questo nome. Un piatto tutto sommato semplice, sensorialmente lineare, buono, nutriente, affatto sontuoso…
In questa ricetta, balza subito all’occhio che tra gli ingredienti mancano pomodoro e ragù.
Il pomodoro, nelle lasagne napoletane “contemporanee” è fondamentale non solo come elemento caratterizzante del ragù di condimento, ma per l’imprescindibile cromaticità che dona al piatto.
La pasta.
Ancora oggi le scuole di pensiero su come fare la pasta della lasagna napoletana, dibattono se usare l’uovo o meno…
Il Cavalcanti, nel 1837 taglia la testa al toro, e la pasta la compra già fatta dal maccaronaro “giù al Pendino”, e non fa cenno di uova che, neanche da sode, compaiono come ingrediente nella ricetta “antica”.
Stessa cosa per un altro “quasi-must” della (delle…) moderna ricetta, la ricotta.
Nel 1837, la parte casearia è appannaggio solo di mozzarella, provola e… basta.
Sul versante carne le cose sono più simili a oggi, perché sebbene manca la carne trita, le cervellate ci sono, così come le polpettine, ma queste ultime sono “optional”.
Però, oltre il pomodoro, la cosa che più di tutte differenzia la ricetta del Cavalcanti da quelle odierne è il brodo.
Ma… non come in qualche ricetta dove è un rinforzo al vino per sfumare il ragù, ma come “base” dove cuocere, anzi, “stufare a mollo” i vari strati della lasagna, logicamente adagiati nel canonico ruoto…
Una lasagna stufata nel brodo?
Ma siamo matti?
San Gennaro & Sant’Aspreno aiutateci!
(esclamerebbe mia nonna)
Non domo, nel suo ricettario il Cavalcanti cita perfino una opzione dolce, con l’aggiunta al tutto di zucchero e cannella, cosa che adesso farebbe drizzare i capelli…
Un tocco di cannella, in qualche ricetta moderna c’è, ma una lasagna declinata dolce no, non l’ho mai vista.
Però, all’epoca i canoni gustativi erano diversi, molto.
Il pomodoro, il vero ingrediente-feticcio della lasagna napoletana, pare che faccia ufficialmente suo ingresso in ricetta solo nel 1881… all’apice del suo sdoganamento dopo che, portato dalle Americhe, per un paio di secoli era stato mal considerato, e ritenuto anche velenoso!
Così, ne il Principe dei Cuochi di Francesco Palma del 1881 2 altro celeberrimo ricettario che si rifà al più noto Il cuoco galante del Corrado del 1773, ma anche al già citato lavoro del Cavalcanti, nella ricetta della lasagna, qui declinata solo dolce (?), insieme all’opzionale ricotta di fondo, alle polpettine non più “optional” ma di serie, e a una parte casearia più ricca, compare timidamente tra gli ingredienti “un coppino di brodo di ragù”.
Indi… appurato che la moderna lasagna partenopea, frutto di evoluzioni e cambiamenti, non solo degli ingredienti, ma anche del gusto, è ormai lontana sensorialmente anni luce da quella di poco meno di due secoli addietro, resta un interrogativo, che fine ha fatto quest’ultima?
Qualcuno ancora la prepara?
La risposta è si.
Per scovare chi ancora prepara qualcosa concettualmente molto simile alla “lasagna napoletana delle origini”, ma assolutamente non dolce, bisogna uscire dalla Campania e approdare sulle rive del fiume Fortore che, pur nascendo nel beneventano, nella sua parte “bassa” prima di sfociare nell’Adriatico traccia in buona parte il confine tra Puglia e Molise.
Ed è qui, nei pochi centri abitati sulla parte bassa del fiume che, con una diffusione a macchia di leopardo, in molte tavole nei “giorni importanti” si prepara la Lasagna in brodo.
Incredibilmente, salvo pochi dettagli, come le sfoglie preparata rigidamente all’uovo, gli sfilacci e in qualche caso le interiora di pollo cotte, al posto delle cervellate tra gli strati che si alternano a quelli con i latticini, e l’aromatizzazione “decisa” del brodo, affidata a seconda dell’uso familiare a noce moscata, cannella, cardamomo o pepe bianco.
La ricetta, concettualmente è quella del Cavalcanti, incluso “l’optional” delle polpettine di carne fritte.
Il cerchio si chiude.
Il perché della sopravvivenza solo in questa zona di un piatto molto simile a quello preparato nelle case dei popolani della capitale del regno due secoli addietro, è un mistero.
Probabilmente, l’estrema marginalità del territorio e l’assenza di vie di comunicazione degne di questo nome fino tempi recentissimi, hanno giocato a favore della conservazione.
Le piccole varianti negli ingredienti, probabilmente dettate dalla diversa reperibilità della materia prima in loco (pollame al posto dei dei bovini etc etc) non inficiano l’impalcatura complessiva del piatto che, sensorialmente, al contrario della lasagna napoletana moderna, gioca tutto sulla lievità dei pochi ingredienti, contrapposta alla profusione e alla sontuosità…
Per chi vuol saperne di più sulla lasagna in brodo vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/lasagna-in-brodo/2020/04/
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Riferimenti –
1 – Ippolito Cavalcanti La Cucina teorico-pratico – seconda edizione ricetta n° 366 pagina 358 (Napoli-1837)
2 – Francesco Palma Il Principe dei Cuochi pagina 24 (Napoli 1881)
3 – A.M. Lombardi e R. Mastropaolo La cucina Molisana volume primo pagina 62 (Ripalimosani 1986) – Arti grafiche la regione editrice
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?