Come al solito un articolo che pochissimi leggeranno… eh si, non ci sono troppe figure, e 445 parole sono impresa ardua per l’italiano medio!
Ma… perché, e questo con inquietante ciclicità, il mondo del food italiano sforna una così grande quantità di tormentoni lessicali?
Biecamente e talvolta inutilmente usati, ho il sospetto che siano solo ri-edizioni moderne del “latinorum” di Don Abbondio.
Così, questa volta in miei strali sono per un “qualcosa” ormai approdato anche nei peggiori bar di Caracas, che porta il nome di Zeste.
Zeste
Prima di tutto, da dove arriva questo termine vagamente esotico di ardua pronuncia per bresciani e bergamaschi?
Non sono un linguista, ma per prima cosa bisogna guardare alla Francia dove, nella lingua di Molière il termine zeste ha più significati.
«zeste d’un citron» sta per scorza di limone, ma indica anche una fettina dello stesso.
«avec un petit zeste» significa parecchie cose che in Italiano si riassumono (più o meno) in “un pizzico di…”, mentre «cela ne vaut pas un zeste» a seconda del contesto assume più significati, compreso… “vale poco o niente”, un po’ come a Genova e dintorni con termine “scabeccio”, appioppato ad ogni cosa (e persona…) di non grande pregio.
Però, anche in inglese zest (ma senza la “E” finale) designa la parte colorata della scorza di agrume, ma indica pure un gusto, entusiasmo, un profumo o un aroma, e… nei negozi di casalinghi del Cheshire è comune trovare i lemon zester, in italiano rigalimoni.
Ma vivaddio, se proprio dobbiamo ficcare scorze & scorzette di agrume in ogni cosa commestibile, e non perché sono autarchico (tutt’altro!), in italiano abbiamo il bel termine scorza di arancio, limone etc etc…
No, c’è poco da fare!
Lo Zeste (o zest) evoca atmosfere esotiche, e diciamocela tutta, anche un po’ “fighetto-esoteriche”, che di ‘sti tempi non guasta, poi, il nostrano “scorza” mica permette di aumentare di qualche euro il prezzo del piatto (pizza, piadina etc etc) che lo contiene...
Volete mettere chi sulle temibilissime “piadine gourmet” ci piazza le “Zeste di cedro Bio del libano” con chi, infimo provinciale come il sottoscritto preferisce le nostrane scorze di limone, magari sicule o di Sorrento?
Si, come al solito in Italia siamo lestissimi ad impadronirci lessicalmente di tutto un po’, ma restii a introitarne la vera sostanza, perché troppe zeste di agrumi, ormai assurte al ruolo di tormentone, sono cinofallicamente piazzate dove sensorialmente non c’azzeccano proprio nulla con il resto del piatto, creando pasticci gustativi mica da poco!
Però… zeste fa figo!
Si, proprio come il latinorum di Don Abbondio…
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Difficile comunque ricavare uno zest dal cedro del Libano che è una conifera alta 24 metri e non un agrume di cui si può grattugiare la scorza.
Concordi su tutto, però potevi fare a meno di esordire con “food” italiano. Potevi benissimo usare “gastronomia”: chi legge avrebbe sicuramente compreso e tu saresti stato coerente…