Di Mimmo Farina,
In questo periodo di reclusione su base, pressoché, volontaria, per le note vicende pandemiche che ci vedono nostro malgrado protagonisti, un assaggio di buoni sentimenti familiari, legati alla convivenza, in questo caso per il breve periodo delle vacanze di Natale. Parenti serpenti
Un quadro, comunque, esemplificativo di cosa pensasse il tremendo Mario Monicelli di noi, dei nostri schemi e delle nostre apparenze.
Ma non è l’analisi del film del Maestro toscano che qui interessa, se non in maniera superficiale, bensì il discorso alimentare.
Parenti serpenti tratta di situazioni e piatti che, a chi scrive, suonano molto familiari, essendo il film ambientato nella cittadina abruzzese di Sulmona, la patria (o meglio, una delle patrie) dei confetti.
Le tipiche portate natalizie del centrosud sono inizialmente sullo sfondo per poi assurgere a protagoniste all’approssimarsi del fatidico cenone natalizio.
Un rito che, a dispetto di ogni considerazione salutista, è l’emblema del delirio gastronomico. Cicerchiate, bocconotti, baccalà fritto oppure lesso, le foglie fritte (ovvero verza e peperoni cruschi, con una riduzione di sarde) pasta, se possibile con le vongole ma non è da disdegnare nemmeno una proletaria versione con il tonno.
Eh già, perché, prima di proseguire si deve ricordare che, soprattutto da Roma in giù, il cenone della Vigilia (rigorosamente con la maiuscola anche se si è atei!) prevede la totale assenza della carne, quale che sia la sua natura.
Quindi vade retro a prosciutti, salami, ventricine e insaccati di ogni provenienza, bovina come suina.
Questo perché il rispetto della tradizione, soprattutto a tavola, per l’italiano è una cosa seria.
Che poi le convivenze forzate, brevi come nel caso delle vacanze o più lunghe come negli strani giorni che viviamo in questo 2020, portino a risultati ben poco tradizionali, poco rispettosi delle forme e dei vincoli parentali, questo è, come suol dirsi, discorso decisamente differente.
Non è un caso che, in generale, le vacanze di Natale e, più specificamente la sera del Cenone, siano occasioni in cui, a dispetto del clima che si vorrebbe disteso e pacifico, emergono conflitti, rancori, invidie, gelosie ed egoismi della peggiore specie.
Così è, impietosamente, anche nel film di Monicelli, lo si è detto.
Una madre campa cento figli, recita un amaro brocardo, ma cento figli non campano una madre.
Una lezione che, per fortuna non sempre, ma comunque con discreta frequenza, converrà tenere presente se si invitano i propri pargoli, soprattutto quando sono cresciuti, a passare le Feste a casa propria.
E così, tra un ciambuttello e dello stoccafisso in umido, Saverio (Paolo Panelli) e Trieste (Pia Velsi) sperimentano sulle loro spalle che cosa voglia dire la perdita della indipendenza fisica e la “disponibilità” filiale.
Il finale, sia pur noto, non può esser spoilerato, pena la perdita di tutto il sapido ed amaro gusto del film.
Si può, però dire che tutto è raccontato, in retrospettiva, dall’ingenuo nipote dei due vegliardi, Mauro (Riccardo Scontrini) il quale, peraltro, reputa normale l’evolversi ed il concludersi della vicenda.
Una curiosità, infine, riguarda un riferimento, poi sparito dalla stesura finale della sceneggiatura, al vino al metanolo leggendaria frode alimentare di metà anni ’80 ed, inizialmente, chiave di volta del finale, risolto poi in maniera più… eterea!
Un film colpevolmente dimenticato.
Nonostante gli anni rappresenta benissimo la cialtronaggine innata degli Italiani di qualsiasi opinione politica.
Monicelli, almeno quello al massimo della sua causticità ci manca, grazie signor Farina per avercelo ricordato.
Grazie a lei per averlo letto e apprezzato 😉