Di Serena Manzoni,
Potrebbe essere il titolo di un dipinto, magari della fine dell’ottocento oppure quello di una di quelle belle commedie all’italiana di cui si sente tanto la mancanza.
Se fosse un dipinto, sarebbe uno di quelli, che a guardarli, suggeriscono i rumori…
Esperienza sinestetica fuor di dubbio, ma il padrone assoluto sarebbe sicuramente l’orecchio, più dell’occhio in questo caso.
Una componente importante però la riserverei pure al tatto, con dovute ragioni.
La mia colazione napoletana si gusta in piedi, ad un bancone affollato, verso le otto del mattino. Colazione napoletana.
Non è possibile evitare di toccare, e quando scrivo toccare intendo non lo sfiorarsi leggero e quasi inconsapevole di una troppa vicinanza in uno spazio ristretto, ma il sentirsi quasi spostare da un altro corpo che vuole raggiungere l’agognato bancone, anche se non di malagrazia.
Ancora al tatto è dedicato l’incontro delle mani ancora quasi tiepide di sonno con il rigore della tazzina rigorosamente bianca e rigorosamente rovente.
Perché il caffè nella tazza che scotta è un dovere da cui non si può prescindere.
Che dire poi della liscezza scorrevole del quadrato di carta dove appoggia un sontuoso cornetto che si mescola alle mani mie e della indaffaratissima barista.
Un susseguirsi festante di sensazioni tattili che però sono arginate dall’esuberanza irrefrenabile dei suoni e dei rumori, una vera jam-session un po’ frastornante ma in qualche modo armonica.
Batte il tempo lo sbattere ricorrente dello svuotamento del portafiltri, a seconda della mano, diverso: nervoso e secco, irrimediabile e sordo, più morbido e ancora assonato, ripetuto e un po’ indeciso.
Ai due ingressi del bar le porte sono aperte davanti ad un semaforo che, sfatiamo il mito partenopeo, viene per lo più rispettato, anche se con qualche insofferenza
Agli ottoni ci pensa la strada: macchine che partono, clacson che se c’è perché non lo dobbiamo usare, voci che si mescolano alle ordinazioni al banco, alle chiacchiere di una giornata che inizia ed al rumore del mio cuore che batte vicino all’abbaiare di un cagnetto di razza meticcia. Colazione napoletana
E poi, tra il vassoio di metallo delle paste fresche del bar-pasticceria, che la stessa indaffaratissima barista appoggia nella vetrina di ordinanza urlando “ma quando arrivano le graffe?”, il rumore più importante e unico, a mio avviso: quello del piattino della tazza di caffè messo sul bancone
Una specie di tintinnio, non leggero però, che via avvisa che il vostro agognato caffè è pronto, nella sua tazza rovente.
Ristretto, intenso, più amaro e tostato di quelli dell’italico stivale, tutto il sapore stretto in un pugno che si apre immenso alle papille, di quella mitica generosità del paese del sole.
Con rammarico mi accorgo che si è persa l’abitudine di zuccherare il caffè… di norma lo bevo amaro, ma quanto amavo lamentarmi del fatto che a Napoli te lo zuccherassero a prescindere, al limite chiedendoti quanto ne volessi…
La mia colazione napoletana è veloce, all’impiedi, condensata e ricca come la crema che riempe il cornetto con quella crema lieve e agrumata che solo qui trovo, una colazione-melograno, intensa ed emozionante
Con riconoscenza noto che i baristi, come d’obbligo, sono in divisa: capitani di una nave che mi porterà lontano, stavolta sarà il vento del Sud a farmi capitano…
Gran Caffè Varriale
Via Miano, 13
80145 – Napoli
Tel. 081 741 5635
Serena Manzoni