Di Fabio Riccio,
Partiamo da questo: in genere, non mi piace il vino alla spina, in mia personale opinione è una cosa che rattrista.
Ho troppo rispetto per il vino, nobilissima bevanda, per vederla maltrattata in fusti metallici (sic!) e altri contenitori sintetici improbabili, neanche fosse una pseudo-birra da quattro soldi dal nome pseudo–germanico per la festa di quartiere o la movida di paese.
Passi per il vino alla spina spillato da buoni contenitori o da eno-distributori a giusta tenuta, quelli che non permettono all’aria di penetrare più di tanto, dove il vino è al sicuro dalle ossidanti grinfie dell’aria e da altri nemici.
Passi anche per quello che qualche produttore mi ha fatto degustare in anteprima, spillandolo dalle regolamentari botti o da altri appropriati contenitori in acciaio o vetroresina per uso enologico.
Qui non si tratta di vino alla spina, ma di un un vero e proprio bicchiere di tradizione, con in più un pizzico di poesia…
Passi anche (con qualche riserva però…) quello di qualche rara Vineria che usa ancora delle botti vere, da dove il vino vien giù per gravità, sempre se il tutto è conservato a dovere.
Quindi, pur senza dire male di chi adora questo modo di somministrare vino (ognuno è libero di farsi male come meglio preferisce), e con il massimo rispetto anche per chi produce, commercializza e somministra vino alla spina e le relative apparecchiature, mi avvalgo qui delle prerogative dell’articolo 21 della nostra costituzione, riguardo la libertà di espressione, per dichiarare a chiare lettere che non mi piace il vino alla spina. Punto.
Perchè?
Semplice, e l’ho già accennato qualche riga sopra.
Non per l’aspetto sensoriale o qualitativo, ci mancherebbe, nelle spine enologica c’è di tutto, e qualche buon vinetto ogni tanto dai rubinetti ci esce anche…
Non mi piace il vino alla spina semplicemente perchè ho troppo, troppo rispetto per il nettare di bacco, bevanda delicata e da maneggiare (materialmente anche!) con estrema cura, per vedermelo uscire svilito da un rubinetto, magari spinto su da un marchingegno che utilizza CO2, e con il bonus dell’immancabile imbranato mescitore che mi dice di aspettare perchè “non c’è pressione”, e intanto dal bicchiere si vede uscire solo una inquietante schiuma che invade il bancone e che mi sembra quasi “Blob”.
Mi intristisce, ecco.
Però, e come al solito, sono in minoranza, perché nonostante negli ultimi anni c’è in giro più gente che ha qualche nozione di vino, e su come lo si conserva e serve, continuo a vedere in giro parecchio vino alla spina.
Vabbè.
Wine on Tap, così lo definiscono gli anglosassoni.
Bah…
Domandona: ma… cari signori che mescete & vendete il vino alla spina, praticità a parte, non pensate sia meglio rispetto alla parata di rubinetti con sottostanti bombole di Co2, una bella selezione di bottiglie magari non costose, ma buone e servite al calice, anche nel bicchiere da osteria, per accontentare chi non ama scolarsi una bottiglia da solo o in coppia?
Mistero…
Una spiegazione (forse…) a questo andazzo l’ho avuta qualche giorno addietro, quando ho pubblicato un articoletto sulle gastrocastronerie lette negli ultimi giorni su un noto sito di recensioni on-line.
Vedi – https://www.gastrodelirio.it/wp-content/uploads/2018/01/gastrocastronerie-3.jpg
In una di queste, un “recensore” (virgolette d’obbligo) ha scritto: «Vino Falanghina sgasato probabilmente preso dal fondo del fusto».
Qui c’è tutto!
In primis il giovin baldo recensore (al netto dell’uso della “e” accentata come congiunzione, vedi – Servizio scortese è lento) sottintende che il vino alla spina è per lui cosa normale.
Fin qui una opinione, e pur se a denti stretti, la rispetto.
Ma poi, c’è l’uso dell’aggettivo “sgasato”, che sta a indicare che la Falanghina se non gli si da “gas” non ha bollicine.
Probabilmente, il baldo giovin recensore, e come lui tantissimi altri, suppone che certe Falanghine (ma anche altri vini…) hanno le bollicine solo perché un macchinario le aggiunge.
Che tristezza!
E… purtroppo non è il solo…
Non mi piace il vino alla spina, per nulla, fatevene una ragione!
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?