Di Fabio Riccio,
Negli ultimi anni ho visitato più cantine.
Visite istruttive, visite divertenti, visite noiose, visite irritanti…
La “nouvelle vague” del nuovo millennio impone cantine supertecnologiche. Sì: luoghi irritanti che danno l’impressione di essere un incrocio tra una camera operatoria e uno studio TV, con l’immancabile appendice della sala degustazione firmata da qualche designer di grido, sempre con sedie scomodissime.
Luoghi finti, scenografici, dove il vino prodotto è solo il risultato finale di un processo che non ho remore a definire alchimistico-industriale.
E… l’artigianalità dov’è finita?
Illuminazioni fantasmagoriche, macchinari da astronave interplanetaria, non una virgola fuori posto.
Poco ci manca che appena varcano la soglia, anche gli ospiti vengano irrorati di azoto, come certi grappoli che si convogliano alle deraspatrici…
No, da Salvatore Magnoni, nella omonima azienda agricola, tutto questo bailamme tecnologico non c’è, e quel po’ che c’è, è ancora a misura d’uomo, per fortuna.
Il senso di una visita in cantina non è, e non deve essere l’ammirare la rincorsa forsennata alla tecnologia e al marketing, bensì è la voglia di sapere come è prodotto quel liquido che già dai tempi di Noè è fatto principalmente di materia, passione, sudore e poesia.
Il vino, in giusta misura, aiuta a degustare appieno la gioia della vita.
Una premessa: in mia modesta opinione, quello che produce Salvatore Magnoni è l’Aglianico, anzi, il suo archetipo.
Una delle più belle interpretazioni di questo vitigno che ho mai bevuto, almeno nella sua accezione campano-cilentana; partiamo da questa ipotesi.
Una visita, come quella che io ho avuto il piacere di fare nella cantina di Salvatore Magnoni, è (anche) una visita a casa sua, un bel palazzotto gentilizio che trasuda storia e ben leggibili fasti e vestigia dell’epoca borbonica, in quel di Rutino, Cilento, provincia di Salerno.
La cantina di Salvatore Magnoni è un luogo semplice, lineare (se mi è permesso l’aggettivo), di certo un posto dove si lavora e si produce.
Poche attrezzature, tecnologia solo quanto basta, e scendendo una rampa di scale si entra nella vera e propria “cantina”, un posto affascinante, dove i suoi vini sonnecchiano in condizioni ottimali, in attesa del momento propizio per essere messi in bottiglia e bevuti, senza fretta.
E’ stato bello anche essere ospiti a pranzo a casa sua, informalmente sul vecchio tavolo in cucina, logicamente districandosi tra i calici delle vari annate dei sui Aglianico (il Primalaterra e il Rosso del ciglio), e dopo pranzo ancor più bello vagare in sala incuriositi dai busti degli avi garibaldini e dalla sterminata collezione di dischi in vinile, retaggio di quando Salvatore Magnoni a Napoli gestiva la “Fonoteca“, uno dei negozi più apprezzati di musica indipendente (e non…) in città.
Già, perchè Salvatore Magnoni, pur di ceppo e famiglia cilentana, è nato e vissuto a Napoli, ma come altri, anche lui anni addietro ha deciso per il percorso inverso dalla città alla campagna, cambiando radicalmente vita.
Ora, se decidete di fare un salto a Rutino, non aspettatevi il solito trito stereotipo del napoletano da cartolina, no: Salvatore Magnoni è persona cordiale e di ottimo spessore intellettuale, ma anche uno che pesa per bene le parole, senza sprecarle.
Uno di quei napoletani esteriormente “poco napoletani”, che sul vino ha una sua chiara idea, e sa bene dove vuole andare per portarla a compimento.
Ecco… la sua idea di vino.
Una idea che condivido in pieno.
Salvatore Magnoni è semplicemente il custode-interprete di quello che andrà nelle bottiglie che usciranno dalla sua piccola azienda.
Prima di tutto, oltre a lavorare bene e in maniera non invasiva e rispettosa sia in vigna che in cantina, Salvatore Magnoni ha un enologo che non è affatto un signor nessuno.
Vale la pena di spenderci due parole…
Maurizio de Simone non è uno di quegli enologi con in una mano il diradamento sempre pronto e nell’altra bustine & flaconi per le consuete e immancabili alchimie da cantina.
No.
Maurizio de Simone è un nome dell’enologia di quelli che piacciono a me, e porta avanti e supporta uno stile di vinificazione contraddistinto dalla “enologia del non intervento”, logicamente supportata da una ottima preparazione tecnica e da continue ricerche e sperimentazioni.
Il fil rouge del suo lavoro lo si può sintetizzare nell’assoluto rispetto per quello si definisce terroir, parola che Maurizio de Simone traduce con il termine “origine”, inteso nell’accezione francese del termine dove l’obiettivo di fondo è quello di stabilire il giusto equilibrio tra la natura e il rispetto del luogo e della cultura (intesa come usi e abitudini…) dal quale l’uva arriva.
E’ stato bello sentire (finalmente!) un enologo che parla di biodiversità con cognizione di causa e senza falsi miti da “tanto al chilo” da mulino bianco.
E’ stato bello (e triste nello stesso tempo) accorgersi del suo rammarico mentre raccontava di aver visto terreni così insteriliti e impoveriti per l’abuso uso di chimica di sintesi, dove tra i filari a parte le viti, non cresceva quasi più nulla, neanche della più innocua delle infestanti.
Un personaggio quello di Maurizio de Simone, che almeno noi che amiamo bere “naturale”, sempre virgolette d’obbligo, del quale credo sia consigliabile di conoscere il pensiero.
Però, torniamo al vino e a Salvatore Magnoni.
Ora userò la temibile parolaccia da tanti temuta… “Vino naturale”.
Il termine non si potrebbe usare, legalmente ma anche lessicalmente, perchè il vino non è un prodotto che in natura si trova così com’è, per farlo c’è sempre bisogno della mano dell’uomo.
Poi, se qualcuno dei lettori mi suggerisce dov’è c’è una fonte o una qualsiasi polla nella roccia o nel terreno dove invece dell’acqua sgorga del vino…
Però, per definire i vini di Salvatore Magnoni, lo stesso voglio usare l’aggettivo “naturale”
Il “naturale” è un modo diverso di interpretare e di rapportarsi con il mondo del vino, almeno rispetto alla china presa dai protocolli condivisi da gran parte dell’enologia nostrana dopo gli anni ’70 del secolo scorso.
In ogni caso, un modo oggettivamente molto più consono e non ipocrita di rappresentare il territorio autenticamente, al di là delle belle e “alate” parole di rito che si leggono sulle etichette del retro di tante e tante bottiglie di vino, troppo spesso miseri assemblaggi di uve che arrivano da ogni dove, tenute insieme solo dall’abuso di chimica di sintesi e tecnologia.
Non è questo il caso.
I vini di Salvatore Magnoni, i suoi due (o tre, includendo la riserva) Aglianico, marcano la differenza e interpretano il territorio senza mediazioni e belletti, e per essere apprezzati a pieno da parte di chi li beve, privilegiano un approccio emozionale.
In bottiglia non solo capacità tecniche ineccepibili, ma succo d’uva (ben) fermentato con dentro il caldo e la gran forza di un territorio.
Non è romanticismo, credetemi.
In bottiglia nessuna concessione a eccessi o a facili scorciatoie gustative, nessuna licenza ad alchimie e/o maschere e travestimenti.
In bottiglia c’è solo e semplicemente l’archetipo dell’Aglianico e basta, con la sua forza, i suoi spigoli, la sua eleganza e le sue dissonanze, proprio quelle che lo rendono ancor più interessante...
Uno dei miei vitigni preferiti, se ben interpretato e non camuffato a forza in improbabili “marmellate” per accontentare un certo tipo di pubblico e di sommellierie…
Non posso che concludere con il suggerimento di provare i vini di Salvatore Magnoni, oltre a invitarvi a leggere in dettaglio cosa già scritto su questo sito a proposito dei suoi vini (vedi – https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/primalaterra-cilento-aglianico/2016/08/)
Ma… per una volta voglio stilare una mia piccola ed estremamente personale (quasi)classifica dei miei Aglianico preferiti…
Un bel Terzetto, sono tutti a pari merito, pur tra le loro peculiarità…
Musto Carmelitano a Maschito (PZ)
Salvatore Magnoni a Rutino (SA)
Azienda camerlengo a Rapolla (PZ)
Azienda agricola Magnoni
Via Fratelli Magnoni 11,
84070 – Rutino (Sa)
Tel. 0974830018 – 329.8125129
www.primalaterra.it
salvatoremagnoni@primalaterra.it
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Raramente esprimo le mie sensazione nel leggere articoli sul vino e sulla mia persona.
Fabio Riccio non lo conoscevo e sono felice di averlo conosciuto, Salvatore è un grande e come tutti quelli che non provengono da una formazione agreste e rispettoso del frutto della propria terra……è tutto li il segreto di tanta bontà.
Grazie