Di Serena Manzoni,
Arte e vita. Arte e vita.
Ritornello che ritorna spesso anche tra le pagine di Gastrodelirio, come è ovvio.
Ovvio perché uno dei fondamenti della vita è l’alimentarsi, il nutrirsi, cibarsi, magari anche provandone piacere. Les diners de Gala.
Tra gli artisti del Novecento (maiuscola d’obbligo) che della fusione tra estetica e vita ne ha fatto una vera e propria bandiera c’è sicuramente Salvador Dalì, con quel suo gusto un po’ presuntuoso per l’esibizione e la performance. L’artista che fa l’artista e lo fa vedere.
Poteva mancare tra le imprese del baffuto genio catalano un qualcosa che riguardasse il cibo e la cucina?
Dalì ci regala un vero e proprio ricettario, Les diners de Gala: esagerato e sontuoso, senza mezze misure, di peso, bellissimo.
Definirlo ricettario è forse un po’ riduttivo; il volume è composto da dodici sezioni, ognuna dedicata ad un argomento specifico: uova e frutti di mare ovvero i cannibalismi dell’autunno, le carni come interludi sodomizzati, non tralasciando gli sputnik rimasticati agli astici statistici parlando di rane e lumache. Les diners de Gala
Per ogni argomento, vere e proprie ricette, quelle realizzate per le famosissime feste organizzate da Dalì e dalla moglie Gala con l’aggiunta di alcune donazioni ovvero ricette regalate per il libro da illustri ristoranti dell’epoca che in qualche modo si prestano al gioco, facendosi pure pubblicità… Maxim’s, Le buffet de la gare de Lyon, La tour d’argent, Lasserre: siamo nel 1973 ed è estremamente interessante notare come l’alta cucina sia ancora molto diversa da quella attuale, carica, eccessiva, non ancora soggetta a quel processo di “dimagrimento” che inizierà di lì a poco.
L’eccesso e la sontuosità sono presenti non solo nelle ricette, ma nella mise en place e nella fotografia dei piatti decisamente vintage, con predominanza di colori scuri, velluti e argenterie, merletti, cristalli e fiorami.
Le fotografie ritraggono piatti per il tavolo e non singole porzioni, tutto deve esprimere “grandezza”. Les diners de Gala.
I tempi cambiano e insieme a loro cambia la cucina, il suo modo di percepirla e di presentarla.
Di certo Dalì non disdegnava il lusso e non gli mancava un certo gusto per l’eccesso, vogliamo scordarci dell’ anagramma del suo nome “Avida dollars” coniato da André Breton?
La composizione dei suoi piatti ricorda la complessità ed il gusto teatrale di alcuni dei gioielli da lui disegnati, come il Cavolfiore al Roquefort adagiato in una scarpina probabilmente d’argento.
Nelle mise en place delle ricette si denota il desiderio di esprimere il carattere del piatto anche nel modo in cui è presentato: l’orata africana è l’occasione per riprodurre una maschera tribale, dove il pesce circondato da foglie d’alloro diventa una bocca enorme e le due terrine con le arachidi rotondissimi occhi.
Quella di Dalì è una cucina totale, totale e complessa, nella forma e nelle preparazioni. Tutto in Le diners de Gala è farcito ed esagerato, persino barocco nelle sovrapposizioni di gusti e consistenze, lo stesso vino è servito in caraffe di cristallo o da lussuose vecchie bottiglie impolverate.
Un altro aspetto fondamentale di questa cucina è sicuramente la visceralità, sia intesa dal punto di vista della carnalità e del piacere anche erotico sia dal punto di vista corporale e digestivo. Les diners de Gala
Sono spesso citati, quando si parla della Dalì-gastronomia gli “Je mange Gala”, ovvero le ricette afrodisiache, ma trovo più interessanti i riferimenti a Paracelso e alla sua idea della “digestione come una combustione verso la morte”.
Morte e cibo, l’alta cucina è definita dallo stesso Dalì come “molto morire”. L’esperienza di Dalì passa tutta attraverso gli apparati corporei, compreso quello digerente e le seguenti affermazioni riassumono bene questa idea “il primo strumento filosofico per eccellenza dell’uomo è la presa di coscienza del reale da parte delle mascelle” a cui si affianca “In me qualunque illuminazione nasce e si propaga attraverso le viscere”.
Dalì ingerisce e digerisce la realtà producendo la sua arte, di cui fa parte anche Les diners de Gala, questo suo ricettario.
L’opera è complessa, non solo ricette e fotografie, ma anche menù e un apparato importante di illustrazioni composte da opere d’arte, dove talvolta i celebri orologi molli diventano uova al tegamino, compaiono creature fantastiche un po’ perturbanti tra l’animale e l’umano che afferrano forchette o si tagliano le natiche, una santa martire viene dipinta con le braccia mozzate sprizzanti sangue su una gonna di gamberi rossi ovvero la rielaborazione in pittura della Piramide di gamberi di fiume alle erbe dei vichinghi, ricetta donata da La tour d’argent.
Con quanto scritto non ho la presunzione di aver spiegato Les diners de Gala, ma la speranza di avervi fatto venire la voglia di sfogliarlo.
Fino ad un po’ di tempo fa Le diners de Gala era difficile da reperire, ma è stato riedito da Taschen nel 2016 e non può mancare nella vostra biblioteca gastrodelirante.
“Si può non mangiare, non si può mangiare male”
Salvador Dalì Les diners de Gala
Serena Manzoni