Cinquanta sfumature di caciocavallo
Di Fabio Riccio,
Sono un grande, grandissimo estimatore del caciocavallo.
Nella piccola riserva casalinga di formaggi, c’è sempre un bel pezzo di buon caciocavallo, pronto da mordicchiare a mo’ di snack. cinquanta sfumature di caciocavallo
Purtroppo il problema del caciocavallo, è quello di trovarne buoni… mica sono tanti.
Malauguratamente anche il caciocavallo, in tutte le sue sfumature regionali, dalla Sicilia all’Abruzzo, sta pagando il suo stesso successo con la discesa in questo segmento di mercato di tanti caseifici industriali che, furbescamente hanno fiutato il business.
Quindi, tra caciocavalli buoni, e quelli meno buoni, in commercio si trova una selva di prodotti con tante, forse troppe variabili sia di qualità, che di sapore da produttore a produttore – per farla breve – davvero cinquanta sfumature di caciocavallo!
Per mia fortuna qui in città (cittadina), nei pochi negozi che cercano di far qualità e non solo “scena”, qualche buon caciocavallo, anzi ottimo, lo trovo.
Però, e a dispetto di questa (relativa) facilità di approvvigionamento di buoni caciocavalli, ecco che mi vedo costretto a narrare un fattaccio “caciocavallesco” che mi fatto ulteriormente riflettere (se mai ce ne fosse ancora bisogno) di quanto in realtà sia basso il livello di conoscenza dei prodotti alimentari e della gastronomia in genere da parte dell’Italiano medio, malgrado si parli e straparli di cibo ovunque e dovunque.
Sono al banco di uno di questi negozi, una onestissima salumeria che prova a vendere anche qualcosa di qualità, dove acquisto a volte qualche discreto insaccato e buoni formaggi, anche se in passato, per questi ultimi, la scelta era decisamente più ampia.
Davanti a me una signora, elegante, mediamente tirata ma senza lifting appariscenti, età indefinibile dai 35 ai 65, tacco 10, cellulare con cover brillante trash da bigiotteria indiana, e borsa di Louis Vuitton, probabilmente non originale, ma che in certi casi fa ancora più “figo” di quella vera.
La signora come prima cosa chiede un etto di ventricina vastese, raccomandandosi di tagliarla molto sottile, e già questo è il suo primo gastrodelitto per la quale andrebbe severamente punita – vedi https://www.gastrodelirio.it/fabio-riccio/ventricina-non-si-taglia-sottile/2015/08/
Non contenta, la signora chiede anche una fetta di caciocavallo.
Nel bancone, in bella vista ben tre tipi di caciocavalli.
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Il primo è di un caseificio industriale, che a vedere la fila delle autocisterne dalle targhe straniere ferme alla reception, utilizza in gran parte latte non locale.
Bello a vedersi, rassicurante, esteticamente perfetto. Però, una volta tagliato c’è il nulla, l’interno è piatto, uniforme, color giallino tenue. Al palato nessun sapore, se non il classico, e qui molto vago, sentore burroso di latte…
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Il secondo è di un caseificio un tempo davvero artigianale, ora semi-industriale.
Non un prodotto disprezzabile. Aperto, ha un colore decente e un aroma dignitoso. Riguardo al gusto… “ni”- Però, anche per questo caseificio, nutro dubbi sulla fonte di tutto il latte…
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Il terzo invece è di un microcaseificio artigianale.
Produzione minima, materia prima (il latte) esclusivamente locale.
Forma perfettibile, crosta giallo intenso, però una volta aperto è una vera festa per naso, occhi e palato. Sapori e sentori burrosi di latte, intensi e complessi, semplicemente memorabili. Gran bel formaggio!
Il salumiere propone i tre caciocavalli alla signora.
Giustamente hanno prezzi diversi, ma alla fine non così lontani tra di loro – tutti tra i 10 e 16 euro/kg.
A questo punto, indovinate che combina la signora con la borsa (forse) di Louis Vuitton…
Ovviamente… compra una fetta da mezzo chilo di quello più a buon mercato, quello del primo caseificio, quello industriale.
A sentir lei non per il prezzo, ma perché a suo avviso quello del caseificio artigianale ha un colore troppo “forte”, quindi a suo avviso non è di qualità…
Rimango basito. cinquanta sfumature di caciocavallo
Non ho parole, ma solo parolacce.
Scommetto che la signora, che di sicuro mangerà felice & contenta il suo caciocavallo industriale tutto bello lisciato lisciato, è una di quelle che a casa è sempre attaccata al televisore a sorbirsi morbosamente Master Chef & show di cucina vari.
Magari è anche una di quelle (le avete presenti?) sempre in prima fila nei Cooking Show di provincia, pronta a sparare foto ad alzo zero da condividere (con lo smartphone – sic!) dei piatti, senza però mai averli assaggiati, e cosa più grave, senza alcun desiderio di farlo…
Anche qui, il mio solito auspicio di una congrua punizione corporale per l’ignorante signora.
Si, è proprio vero… cinquanta sfumature di caciocavallo!
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?