Di Fabio Riccio,
ben più di un bravo birraio segue gastrodelirio, e di questo ne sono fiero.
Gran parte dei nostri lettori, come anche il sottoscritto, apprezza molto la birra artigianale.
Diciamocela tutta… per chi ha un palato un minimo sviluppato, e non mangia e beve solo con i “luoghi comuni”, le birre artigianali degli italici birrai sono in grandissima maggioranza davvero un altro pianeta.
La birra artigianale, e la vera e propria esplosione di microbirrifici in tutte le regioni d’Italia, sono un fenomeno a prima vista semplice, ma in realtà complesso, a mezza strada tra “la moda” e la voglia di nuovo, con cui bisogna fare i conti.
Partiamo da questa ipotesi…
Nonostante la mia preferenza per questo tipo di birre, credo che sia arrivato il momento di togliere il velo alla Veronica e dire, e non solo come bastian contrario, ma con cognizione di causa, che in Italia ci sono troppi birrifici, anzi: microbirrifici.
Il fermento (permettetemi la battutaccia) nel mondo brassicolo Italiano dura da un po’ di anni.
Creare dal nulla un microbirrificio non è impossibile, il capitale necessario non è poi così alto come per altre attività d’impresa.
Così i birrifici spuntano come funghi, e i birrai (o mastri birrai), si inventano e si riproducono come conigli…
Entusiasmo?
Si, molto.
Ma l’entusiasmo non è eterno, anche se a volte aiuta a superare tanti ostacoli…
Ora, perché mi sento di affermare che in Italia ci sono troppi birrifici?
Semplice, basta fare i cosiddetti e famosi “due conti della serva”.
Il totale della produzione di birra artigianale in Italia è all’incirca il tre per cento o poco più del totale di tutta la birra prodotta nella penisola. (dati AssoBirra – escludendo le importazioni).
Sono numeri piccoli, ancora troppo piccoli, che se rapportati al numero di microbirrifici, descrivono una realtà (salvo poche e consolidate realtà) raccontano di una estrema polverizzazione dei produttori.
Il tutto, nonostante le belle parole, la buona qualità e l’entusiasmo, si traduce in una scarsa, se non impossibile sostenibilità economica per la maggioranza di queste microscopiche realtà, non nascondiamocelo.
Il consumo di birra pro capite in Italia è sostanzialmente stabile da anni, e non sembra crescere.
Siamo ancora molto lontani dai numeri di altre realtà del centro e nord Europa.
Ora, a parte alcuni bravi birrai, che oltre a essere degli entusiasti del loro lavoro, hanno dimostrano gran spirito imprenditoriale, costruendo (anche ampliando) le loro piccole realtà lavorando sodo e con intelligenza, ritagliandosi così la loro nicchia di mercato, (persino in alcuni settori della grande distribuzione), il resto della produzione di birra artigianale in Italia è in mano alla miriade di micro-micro-micro birrifici, troppo spesso nati solo sull’onda della passione, senza un piano di sostenibilità economica.
Passione e entusiasmo, non sempre bastano a produrre reddito.
Però, tralasciando la sostenibilità economica o meno, c’è da dire che la grande maggioranza dei microbirrifici nostrani non produce cattive birre, anzi.
Però, parecchi di questi, raccontano una storia simile, già vista e rivista tante volte, una storia che ha molto di effimero…
Tizio si inventa mastro birraio, ma in realtà fa l’impiegato, statale o non…
Tizio, nel suo tempo libero (beato chi lo ha) è stato “a mestiere” da qualche nome noto del mondo brassicolo nazionale, magari ha fatto anche uno stage in Belgio alla ricerca delle mitiche fermentazioni spontanee, oppure si è pagato di tasca propria (durante le ferie) qualche settimana di “tirocinio” in qualche birrificio della Repubblica Ceca, o in Galles, se ama le stout.
A questo punto, applicando alla lettera l’italica “arte di arrangiarsi”, la trasformazione è fatta: il nostro impiegato si autonomina “Mastro Birraio”, carico e voglioso di fare “la sua birra” da vendere e far apprezzare in tutto il mondo. Magari avvisa di questo, anche la stampa e i siti web locali, e annuncia che al più presto aprirà il suo (micro) birrificio.
Evviva!
Ha pure un po’ di soldini da parte, e coinvolgendo anche il parentame e gli amici del Bar, li investe e così finalmente apre il suo bravo microbirrifficio.
Il dado è tratto!
Superate le pastoie burocratiche, che non sono poche, il nostro impiegato-mastro birraio… inizia a far birra.
Non entro nel merito della bontà o meno di quel che si produce…
Ma farsi la birra in casa per autoconsumo è una cosa (gli homebrewer) e vedere di guadagnarci qualcosa, oppure al limite di non rimetterci troppo, affacciandosi sul mercato, locale o nazionale che sia, è faccenda diversa.
Arriva il momento della vendita.
L’impiegato-mastro birraio prova ad organizzarsi per vendere la sua birra. Magari incarica di questo l’amico che già fa il rappresentate di qualcosa nel circuito di bar e ristoranti, oppure (come spesso accade) prova di persona a piazzare il suo prodotto.
Inizia così la peregrinazione tra ristoranti, pub, pizzerie e manifestazioni in zona.
Passano i mesi, ma i risultati in termini di vendite sono modesti, molto.
La sua birra, non si vende, o si vende poco…
Con i bar tradizionali,”i bar dello sport”, non si batte proprio chiodo.
Ristoranti e Trattorie ancora peggio.
Se il nostro impiegato-mastro birraio è fortunato, magari il ristoratore più intelligente e noto del circondario gli compra qualcosa, e mette le birre del nostro impiegato-mastro birraio in carta, ma anche in bella vista nel ristorante, fanno tanto “territorio”…
Anche così ne vende poche o quasi, i clienti del ristorante restano ancorati al vino.
La sua birra è troppo cara, gli dicono tutti in coro.
Come tutte le birre artigianali, buone ma care, questa la Vox populi.
Chi assaggia la sua (sue) birra la elogia, gli dice che è fantastica, ma visto che costa molto più delle tradizionali birre industriali, sé difficile da vendere.
C’è anche del vero in questo.
Il pubblico delle birre artigianali è decisamente di “nicchia”, e ancora (quantitativamente), quasi allo stato embrionale. Il famoso 3%…
Se poi gli va bene, il nostro impiegato-mastro birraio, riesce anche a piazzare un po’ di bottiglie nei pub ed enoteche più attenti alla qualità, locali che poi non sono molti in Italia, mi spiace dirlo.
Però qui si c’è concorrenza.
Non solo quella degli altri colleghi autonominati “mastri birrai” che fanno la fila per vendere la loro birra, ma anche con quella concorrenza che arriva dalle grandi firme birre, che sotto nomi diversi, per arginare sul nascere il fenomeno delle birre artigianali, propongono birre apparentemente artigianali dal rapporto qualità/prezzo più abbordabile per una certa fascia di clientela…
Incurante di tutto questo, e ancora carico di entusiasmo, pensando di aver trovato il posto giusto, il nostro birraio inizia a passare e ripassare dal cliente, che magari ha pure venduto un po’ di sue birre, convincendo qualche ragazzotto di periferia con qualche soldino in più in tasca che quella è una grande birra, magari giocando anche sullo sciovinismo che sempre funziona, tirando fuori la carta della “territorialità”…
Risultato?
Una vera e propria persecuzione a quei pochi che hanno comprato la sua birra, che magari in quella tipologia di locali si vendicchia pure, ma non abbastanza per farci qualche soldo, o quantomeno per riportare i conti del microbirrificio a perdite minori.
L’andazzo continua, ma dopo un po’ di tempo visti i risultati scarsi, l’entusiasmo pian piano scema, e subentra la rassegnazione.
L’impiegato-mastro birraio inizia a pensare che il mondo non lo capisce, che la gente preferisce il sabato sera ingollare pinte di birracce industriali e tutto quel che solo una mente delusa riesce ad ipotizzare. (c’è del vero in questo…)
Risultato?
Si sbaracca tutto e si cerca, mettendo in vendita impianto & cotta, di limitare economicamente le perdite.
Una volta venduto il tutto, la ruota continua (di solito…) con un impianto di seconda mano, magari in qualche altro angolo d’Italia.
Fine.
Beh… lasciatemelo dire: pur se con qualche forzatura, questa è una storia assolutamente vera, vista più volte.
La birra artigianale, almeno per quanto riguarda questi effimeri micro-micro birrifici improvvisati, non riesce a sfondare come dovrebbe.
I motivi?
Un po’ la dimensione lillipuziana dei birrifici, un po’ i costi alti sia per le poche economie di scala, sia per l’ottima materia prima impiegata, e infine, permettetemi l’essere (come sempre) politicamente scorretto, per la qualità buona ma non eccezionale di parecchie birre artigianali.
Per mia fortuna, giro abbastanza la penisola per manifestazioni di ogni genere.
Ormai, in ogni piazza (e non), dove c’è cibo, la presenza del birraio locale è cosa ormai imprescindibile.
In certe occasioni ho avuto la fortuna di bere birre molto interessanti, non banali, di microbirrifici che hanno nella loro zona una buona rete distributiva, quindi anche una giusta sostenibilità dell’impresa.
In altri casi, e non me ne vogliano i birrai più bravi, ho provato birre che pur se tecnicamente corrette, erano assolutamente scontate, almeno dal punto di vista gustativo.
Birre, che non lasciano di certo il segno.
Non basta cercare ostinatamente il territorio, mettendo di tutto & di più nella birra, a volte con risultati interessanti, più spesso con risultati mediocri.
Così… vai con le birre di tutte le tipologie, declinate al territorio con dentro di tutto, dalla Stout con malto di polenta taragna, alla rara Porter alla violetta di Roccacannuccia di sopra, passando per la IPA al caciocavallo podolico invecchiato 18 anni, e finendo con la Lager verdolina che al posto del luppolo usa le alghe del mar dei sargassi che rendono più brillante la pelle delle signore in menopausa…
Manteniamo i piedi per terra, per favore!
Possibile che ogni birra, magari strampalata e improbabile a gusto e palato, per il solo fatto di essere “artigianale” debba per forza essere buona?
Charles Darwin, dove sei?
In Italia ci sono troppi birrifici, e i distributori, vero trait d’union tra produzione e somministrazione lo sanno bene, molto bene.
Ora, sono loro i veri arbitri della situazione, e loro saranno anche quelli in grado di influenzare e indirizzare tutto il settore.
Speriamo lo facciano nel senso della qualità.
Ogni birrificio artigianale dovrebbe saperlo, ma fare tutto da soli, è velleitario.
Purtroppo, prima o poi ci sarà un gran riflusso.
Economicamente, ma anche darwinianamente, e nell’ottica di un buon prodotto, rimarranno sulla scena solo i migliori.
E… alcuni, migliori lo sono già da tempo, e guarda caso sono proprio quei pionieri che hanno letteralmente inventato il mondo della birra artigianale in Italia…
Ma c’è anche qualche altro che sta guadagnando posizioni…
Teniamoli d’occhio, per il bene del mondo brassicolo italiano.
Meditate gente, meditate…
https://www.youtube.com/watch?v=U4YYvdVHKqw
Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?