Di Serena Manzoni,
Aperitivo. Antipasto. Secondo piatto. Dessert. Digestivo. Mancia.
Una cena. La cena.
Se non fossimo in Olanda ma in Italia probabilmente troveremmo primo piatto e non mancia: usi e costumi.
La cena di Herman Koch, libro del 2009 ma ancora incredibilmente attuale.
Si racconta di una serata in un ristorante di lusso olandese, dove due coppie composte da due fratelli e le relative mogli si ritrovano apparentemente per un noioso e rituale incontro di famiglia, in realtà per discutere di faccende gravissime che riguardano i loro figli.
Uno dei fratelli, Serge, è un politico di successo in piena campagna elettorale e con la possibilità molto concreta di diventare primo ministro mentre il secondo, il narratore Paul è un professore di storia a riposo per motivi particolari.
Tutto si svolge in un ristorante di cui viene scandagliato ogni dettaglio: le cameriere sono professionali e adeguate allo stile dell’ambiente, sono austere, i loro capelli raccolti in una coda di cavallo rigorosa e sono scuri tranne quelli di una, che infatti, pasticcerà con il vino.
Non manca nulla: il maitre in gessato verde, originale nella sua eleganza e quasi fastidioso nella sua onnipresenza e in quel suo modo un po’ petulante di specificare ogni minuzia dei piatto servito al tavolo.
In certi momenti il romanzo diventa quasi una parodia dell’alta ristorazione: i piatti desolatamente vuoti, la materia prima ricercatissima e sempre con un pedigree che il personale di sala non si dimentica mai di segnalare, il tappo della bottiglia che si rompe per imperizia del maitre stesso, il patron che cambia il proprio nome per non apparire troppo rozzo e provinciale.
Ci viene detto sin da subito che la lista della prenotazione è lunga mesi e che le due coppie hanno potuto essere lì soltanto per influenza del quasi primo ministro, uomo di successo improvvisatosi appassionato di vino e di ristorazione. La cena di Herman Koch
Il libro è raccontato da Paul, che tra un piatto e l’altro ci rende edotti riguardo agli altri personaggi e sulle loro storie e personalità.
La questione principale che li ha portati ad incontrarsi in questo ristorante è quella che riguarda i loro figli, adolescenti senza vizi particolari ma con una colpa gravissima che cambierà per sempre la loro vita e quella delle loro famiglie.
I ragazzi sono infatti colpevoli di avere aggredito e ucciso una senzatetto incappata sulle loro strade dopo una festa in una sventurata notte olandese.
La narrazione procede implacabile e fredda, attraverso le parole di Paul che lasciano allibito e un po’ smarrito il lettore. La cena di Herman Koch.
È un romanzo che non prevede la simpatia, non cerca la complicità tra chi scrive e chi legge, al lettore non resta che continuare a leggere.
Anche il ristorante vorrebbe essere freddo e impeccabile, cade però in alcune errori, incrinature nel perfetto andamento della cena: la bottiglia aperta in modo maldestro, il rifiuto di cambiare un dolce ordinato ma non gradito, l’invadenza troppo marchiana del direttore di sala.
Ma che qualcosa dovesse andare storto lo si capiva dalla citazione dell’incipit di Anna Karenina (di cui forse si è un po’ abusato in letteratura) per cui “tutte le famiglie felici si somigliano, ciascuna famiglia infelice è infelice a suo modo”.
Come è chiaro che Paul e la moglie avrebbero preferito passare la serata a bere birra e mangiare costolette nel loro bar invece che nel costoso ristorante, ma per l’appunto, non si tratta di una famiglia felice…
E’ un libro che tratta di ipocrisia e di violenza, di vite perfette e costruite come la cena nel ristorante di lusso: impeccabili e rigorosamente predisposte ma che che mostrano crepe profonde e inarrestabili, che faranno crollare il palazzo.
A noi spettatori impotenti, non resta che stare a guardare il crollo: la domanda più agghiacciante è quella se non lo stiamo guardando allo specchio.
La cena di Herman Koch
Serena Manzoni