Di Fabio Riccio,
Da tempi enologicamente non sospetti sono sempre stato un discreto bevitore di Fiano.
Quasi quasi… potrei azzardare che è uno dei miei vitigni preferiti, ma si sa come è la faccenda: quando pensi di avere trovato il “vino della vita”, dopo un po’ ne arriva un altro che lo spodesta…
Questo il bello.
Del Fiano, di interpretazioni, talvolta meglio chiamarle con il loro nome: mistificazioni, in circolazione se ne trovano tante, troppe forse.
Si va da certi vinetti scialbi zero personalità, dove l’unica cosa che smuove l’attenzione sono le esagerate note aromatiche floreali, neanche fosse un profumo numerato di una nota maison parigina, per approdare all’estremo opposto di certe pseudo-limonate, dove l’unica cosa percepibile è il sentore acido di sturalavandini, e basta.
Ma se escludiamo questi estremi, che a onor del vero hanno molti sostenitori, nel mezzo… rimane una pattuglia di bravi vignaioli che con queste uve fa cose egregie, e che ha fatto conoscere e apprezzare questo vitigno anche fuori dalla sua zona di origine, vale a dire l’Irpinia.
Così, ieri sera, complice una onesta frittura di calamari mangiata a casa con ben 35° gradi di temperatura (dell’aria – non dei calamari!), dalla cantinetta “dinamica” di casa gastrodelirio spunta fuori un “asso”.
Il Fiano Sancho Panza 2013 di Guido Zampaglione, una delle bottiglie conservata per le “buone occasioni”.
Oddio, a casa gastrodelirio le buone occasioni non mai sono poche, anzi… Giudicate voi.
Di solito quando apro un qualcosa mai provato in precedenza, nel giudicare se mi piace o meno, scelgo sempre di affidarmi alla piacevolezza complessiva & istintiva, senza raccogliere informazioni preventive su quel che andrò a stappare.
Con il Fiano Sancho Panza 2013 di Zampaglione non è stato proprio così, qualcosina la sapevo, Zampaglione non è un signor nessuno, anzi!
E… meno male che era solo “qualcosina”, perché solo un assaggio quanto più possibile scevro da preconcetti, assaggio con in prima fila le sensazioni umorali “di pancia”, è il sistema più obiettivo per rapportarsi con un vino non ancora conosciuto.
Non mi fido di certi assaggiatori troppo tecnici, quelli sempre alla caccia del difetto…
Nell’approcciarmi a un vino, voglio solo farmi trasportare dalle sensazioni, piuttosto che usare un freddo e talvolta sbrigativo approccio tecnico, come lo è quello di certi serial taster da degustazioni a mitraglia.
Così… tra un anellino di calamaro, e i tentacoli croccanti (che mi piacciono molto) si stappa il Fiano Sancho Panza 2013.
Il tappo è in gran salute, e istantaneamente all’occhio balza un colore non di certo slavato, ma mediamente carico con belle sfumature dorate (almeno alla luce artificiale) sintomo di macerazioni non brevissime.
Questo Fiano parte bene, è dalle bucce che spesso arriva il meglio per i sensi di chi assaggia, ma vallo a dire a certi enosaccenti…
Ma è al naso, che senza troppe menate già si capisce di essere di fronte a un fuoriclasse.
Fiori gialli e magnolia, gesso e frutta candita, un fondo di incenso e richiami d’altri fumi che non riesco ad identificare, ma che mi piacciono, e vanno subito dritti al cuore.
Colpito & affondato.
Un vino già complesso, intrigante, ma anche godibile già solo a sniffarlo.
Fino questo punto, questo Fiano potrebbe persino andar bene anche alla moglie del noto Sommelier ACCA, anche lei sommelier, ma fieramente astemia (che triste ‘sta donna…).
Ma un vino lo si beve è lo si fa’ proprio – non basta annusarlo, osservarlo e magari respirarlo – bisogna berlo!
Così, pur tra l’ingerenza dei sentori di fritto dei calamari, il Fiano Sancho Panza 2013 inizia ad avvolgere il palato dimostrandosi sì pieno e aguzzo, ma anche magicamente equilibrato, raschiando via i sentori del fritto senza distruggerli, ma assecondandoli con una acidità non gridata, ma chiara, limpida, da manuale direi.
Un gran bel bere, davvero!
Infine, a bottiglia quasi terminata, e con il rimpianto di non averne un altra sottomano (il famoso primo principio fondativo gastrodelirante), gli ultimi sorsi svelano una gran persistenza, ultimo bell’inchino di questo fuoriclasse, con un ritorno di frutta secca (nocciole avellinesi?) e pietra, che si fissa nella memoria indelebilmente.
Per chi anela più dettagli tecnici su come è fatto (cioè molto bene & come piace al sottoscritto) senza alchimie ne’ in vigna ne’ in cantina, basta fare un giretto in rete o nel sito aziendale.
Io mi limito a dire che il Fiano Sancho Panza 2013 di Guido Zampaglione mi piace, e molto anche!
Un Fiano per… riconciliarsi con il Fiano.
Vino gastrodelirante? Certamente si!
Il Tufiello
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Fabio Riccio –
Interessato da più di venticinque anni al modo del cibo, crapulone & buongustaio seriale.
Dal lontano 1998 autore della guida dei ristoranti d’Italia de l’Espresso, Scrive sulla rivista il Cuoco organo ufficiale della FIC, ha scritto sulla guidade le Tavole della Birra de l’Epresso, Su Cucina a Sud, sulla guida Osterie d’Italia Slow Sood, su Diario della settimana e L’Espresso, e quando capita scrive di cibo un po’ ovunque gli gusta.
Infine è ideatore e autore di www.gastrodelirio.it – basta questo?
Adoro i vini di Zampaglione, questo fiano é veramente espressione di territorio senza addomesticamento di sorta.
Peccato che tanti enocretini considerano Zampaglione uno che fa vini pieni di difetti, sbagliano di grosso, e si perdono moltissimo.